Marittimi su navi battenti bandiera estera:
tassazione dei redditi
...e successivi sviluppi:
La normativa fiscale domestica legata alla tassazione dei lavoratori marittimi è legata alla Legge 16 marzo 2001, n. 88 (Nuove disposizioni in materia di investimenti nelle imprese marittime), all’art. 5, co. 5, la quale ha fornito la seguente interpretazione autentica:
Art. 5, co. 5 Legge n. 88/2001Il comma 8-bis dell’articolo 48 (ora 51) del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, introdotto dall’articolo 36, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 342, deve interpretarsi nel senso che per i lavoratori marittimi italiani imbarcati su navi battenti bandiera estera, per i quali, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, e dell’articolo 5, comma 3, del decreto legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398, non è applicabile il calcolo sulla base della retribuzione convenzionale, continua a essere escluso dalla base imponibile scale il reddito derivante dall’attività prestata su tali navi per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di dodici mesi. I lavoratori marittimi percettori del suddetto reddito non possono in alcun caso essere considerati fiscalmente a carico e, se richiedono prestazioni sociali agevolate alla pubblica amministrazione, sono comunque tenuti a dichiararlo all’ufficio erogatore della prestazione, ai fini della valutazione della propria situazione economica.
Pertanto, la norma citata esclude da tassazione in Italia i redditi di lavoro dipendente prodotti dai lavoratori marittimi:
- Residenti fiscalmente in Italia;
- Che svolgono la loro attività su navi battenti bandiera estera per un periodo superiore ai 183 giorni nell’arco di dodici mesi.
Il tutto, continuando, di fatto, ad applicarsi, solamente per questa categoria di lavoratori, l’esclusione da tassazione in Italia precedentemente accordata, a tutti i redditi di lavoro dipendente prodotti all’estero da lavoratori residenti. Inoltre, poiché si tratta di una fattispecie legata a redditi esclusi dalla base imponibile è posto a carico del lavoratore marittimo l’onere di dimostrare l’esistenza del presupposto, ossia di essere stato imbarcato sulla nave per 183 giorni nell’arco di 12 mesi, esibendo idonea documentazione.
Al contrario, l’esenzione da tassazione italiana non può trovare accoglimento per i lavoratori marittimi che svolgono la loro attività su navi straniere per un periodo inferiore a 183 giorni. In tal caso sono applicabili le ordinarie regole per la determinazione del reddito di lavoro dipendente. Questo significa avere anche la possibilità di avvalersi della normativa internazionale qualora, ai sensi del combinato disposto degli articoli 169 del DPR n. 917/86 e 75 del DPR n. 600/73, risulti più favorevole di quella interna.
Quale documentazione utile a dimostrare i 183 giorni di imbarco nell’arco di 12 mesi?
Il contribuente che intende applicare
l’esenzione di cui all’art. 5, comma 5, della Legge n. 88/2001,
deve provare di essere stato imbarcato nell’imbarcazione battente bandiera estera per oltre 183 giorni nell’arco di dodici mesi attraverso la seguente documentazione:
- Contratti di lavoro sottoscritti e relative buste paga;
- Libretto di navigazione della nave dove il lavoratore era imbarcato;
- Ulteriore documentazione nominativa giustificativa della mancata presenza in Italia in quel periodo (documentazione, ad esempio, inerente al sostenimento di spese all’estero, legate alle tratte di navigazione dell’imbarcazione), etc.
Come si calcolano i 183 giorni di imbarco?
Per il computo dei 183 giorni di imbarco e per quanto riguarda la situazione di continuità della prestazione occorre fare rifermento alla Circolare n. 207/E/00 (§ 5.5) dell’Agenzia delle Entrate. Questo documento di prassi ha chiarito che relativamente all’effettiva presenza all’estero del lavoratore, il periodo da considerare "non necessariamente deve risultare continuativo" Infatti, è sufficiente che lo stesso lavoratore presti la propria opera all’estero per un minimo di 183 giorni nell’arco di dodici mesi. Questo significa che se vi è il contratto di lavoro estero che prevede al suo interno un periodo di imbarco superiore a 183 giorni (anche su un periodo a cavallo di due anni), si rende applicabile l’esonero da tassazione italiana dei compensi. A conferma di quanto indicato nel contratto si deve fare riferimento al libretto di imbarco del lavoratore, che indica i giorni di permanenza a bordo. In ogni caso, per l’effettivo conteggio dei giorni di permanenza all’estero del lavoratore all’estero rilevano, in ogni caso, nel computo dei 183 giorni, il periodo di ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi.
Sentenza favorevole per il Com. Andrea Segato
Riconosciuta non solo la validità dei documenti presentati, ma anche quella del concetto che il lavoro marittimo si svolge sia nella navigazione che a terra
E’ stato accolto, con la sentenza n. 277/2024 del 26 febbraio 2024 depositata dalla Corte di Giustizia Tributaria della Toscana, l’appello proposto dal Comandante Andrea Segato, in relazione alla sussistenza dei requisiti per beneficiare dell’esclusione dalla tassazione del reddito connesso all’attività di lavoro marittimo a bordo di una nave battente bandiera estera.
Con questa sentenza, che ribalta la sentenza di primo grado, si ritiene che la documentazione probatoria prodotta dal Comandante – a seguito della ricezione di notifica di avviso di accertamento per omessa dichiarazione dei redditi per l’anno 2016 – abbia effettivamente attestato la sua attività di lavoro marittimo oltre la fatidica soglia dei 183 giorni prevista dall’art. 5 comma 5 della Legge n. 88/2001 per beneficiare dell’esclusione da tassazione del reddito, ritenendo in particolar modo dirimente fra i documenti il c.d. log book, cioè il diario di bordo dell’Armatore. Ma anche, e soprattutto, la sentenza nel suo commento afferma l’importante principio per cui il lavoro marittimo non si esaurisce nella mera attività di navigazione.
Di particolare interesse in questo senso, anche se non dirimente per la decisione in oggetto -, sottolinea lo Studio Legale SLT Yacht che ha seguito la pratica – è un passaggio della parte della sentenza, dove la Corte si esprime con le seguenti parole:
“Le attività del Comandante si estendono quindi dalla più “notoria” attività di navigazione a tutto quanto altro necessario in mare o a terra. L’art. 297 del Codice della Navigazione prevede che “Prima della partenza il comandante, oltre a promuovere la visita nei modi previsti dal presente codice, deve di persona accertarsi che la nave sia idonea al viaggio da intraprendere, bene armata ed equipaggiata. Deve altresì accertarsi che la nave sia convenientemente caricata e stivata”.
È agevole riscontrare che quelle sopra indicate sono attività marittime che vengono poste in essere in assenza di periodi di navigazione. Sulla base di questi presupposti, l’appellante in sostanza afferma che “richiamato il ruolo e le funzioni di un comandante, risulta evidente che il medesimo può “calpestare” il suolo dello Stato italiano anche per 365 giorni l’anno se risulta, effettivamente, impiegato su un’imbarcazione straniera. Pretendere l’attività per le 8 ore giornaliere è comprensibile, come alla stessa maniera deve essere comprensibile che le restanti 16 ore al giorno il marittimo possa recarsi dove più gli aggrada” (cfr. app. p. 22).”
Soddisfazione è stata espressa dal Comandante e dagli avvocati Michael Tirrito e Jacopo Lorenzi dello studio legale per il risultato processuale raggiunto, che ha riportato giustizia dopo una sentenza di primo grado che non aveva correttamente valutato la documentazione probatoria depositata nel processo.